Un intervento molto interessante sia per il profilo autoriale, l'autore è un magistrato del tribunale dei minori nonché professore di criminologia, sia per i contenuti ampiamente condivisibili, giusto forse troppo superficiali ed ottimistici o forse invece estremamente pragmatici rispetto alla capacità di promuovere modalità e stili di consumo socialmente responsabili una volta legalizzata la cannabis, ma interessante è anche che questo articolo sia pubblicato su una rivista rivolta alla polizia giudiziaria.

In questi stessi giorni i media hanno riportato anche un allarme lanciato dal personale di PG in merito all'aumento di sequestri di NPS (nuove sostanze psicoattive) dentro le mura carcerarie, luoghi per altro dove oltre alle sostanze introdotte illecitamente si consumano anche tabacco e caffé legali ma sovrapprezzati e tanti, tantissimi psicofarmaci.
La legalizzazione della cannabis e l'autorizzazione al suo ingresso in carcere al pari di tabacco e caffé potrebbe portare, unita ad altri miglioramenti delle condizioni di reclusione, ad una riduzione del ricorso a più dannosi psicofarmaci e ad un miglioramento generale della qualità di vita dell'intera comunità carceraria.
C'è da augurarsi che proprio fra i vari corpi delle FF.OO. possa in futuro emergere un sostegno consapevole e convinto alla riscrittura delle attuali politiche sulle "droghe".
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IL REFERENDUM SULLA DEPENALIZZAZIONE DELLA COLTIVAZIONE DELLA DROGA LEGGERA
L’inquietante problema del costante incremento dell’uso delle sostanze stupefacenti costituisce un gravissimo rischio per la salute psicofisica delle persone.
Esso deve essere affrontato, a mio parere, non con pregiudizi meramente ideologici o moralistici, ma con un razionale senso di pragmatismo consci che, essendo impossibile un azzeramento di tale sciagurato fenomeno, si deve tendere al contenimento il più possibile del medesimo, soprattutto per quanto riguarda l’utilizzazione di droghe pesanti (in particolare di quelle di nuova generazione con un mix velenosissimo di natura chimica), che continuano a causare la morte di tanti esseri umani.
In questa ottica, con una giusta sentenza “creativa”, già le Sezioni Unite Penali della Suprema Corte di Cassazione, con sentenza 19 dicembre 2019 n. 12348, avevano escluso il reato di coltivazione di stupefacenti per “le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici del loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinati in via esclusiva all’uso personale del coltivatore”.
In altri termini il giudice supremo aveva ritenuto che il coltivatore diretto di cannabis, all’interno dell’ambito familiare, non viene a ledere il bene giuridico della salute pubblica tutelato da tutta la normativa in materia di stupefacenti, lasciando al singolo la responsabilità privata di aderire o meno al suo uso, ben conscio che anche la cannabis, sebbene in minor misura rispetto alle altre sostanze stupefacenti “pesanti”, quali ad esempio i cosiddetti cannabinoidi (formati da terribili miscugli chimici insieme a cannabis naturale) può danneggiare la salute fisica e psichica di un soggetto.
In questa maniera le Sezioni Unite Penali – parificando l’auto-coltivazione di pochissime piantine di cannabis dentro la propria abitazione all’ “uso personale” di stupefacenti in generale (quest’ultimo già depenalizzato dalla legge) – avevano sancito un comune principio di depenalizzazione, per entrambi i casi, giustificato dal tenere lontano dal carcere (spesso “scuola del crimine” soprattutto per i minorenni autori di reati) un maggior numero di soggetti, pur lasciando in vita le sanzioni amministrative ad essi pur sempre applicabili (sospensione della patente, del certificato d’idoneità alla guida del ciclomotore, della licenza di porto d’armi, del passaporto e del divieto di concessione del permesso di soggiorno).
Inoltre, ulteriore motivo a favore della predetta decisione giurisprudenziale, era la potenziale diminuzione dei reati di spaccio e di quelli contro il patrimonio, quali i furti e le rapine, per acquisire il denaro per l’acquisto dello stupefacente “leggero” con un conseguente aumento della sicurezza personale dei cittadini.
Per non parlare poi dell’impatto positivo di tale depenalizzazione anche sui traffici internazionali di cannabis, spesso gestiti dalle mafie, nel senso di una loro presumibile diminuzione.
A quanto sopra si è aggiunto, nel mese dello scorso settembre, il quesito referendario che dovrebbe depenalizzare la coltivazione della cannabis (ampliandone il contenuto, rispetto a quanto stabilito dalle Sezioni Unite Penali, anche alle coltivazioni non minimali svolte anche al di fuori dell’ambito della casa familiare) promosso da alcune associazioni (Luca Coscioni, Antigone, Forum droghe, Società della ragione) e alcuni partiti politici (+Europa, Possibile e Radicali) che ha già raggiunto il necessario limite minimo delle 500.000 firme di elettori-sostenitori (sottoscritte on line con l’autenticazione dei singoli spid), eliminando le principali sanzioni amministrative collegate ai due predetti casi di uso personale e di coltivazione di droga leggera, relative alla sospensione della patente e della idoneità alla guida del ciclomotore, lasciando però inalterate, incomprensibilmente, e quindi sempre ancora vigenti, quelle concernenti la sospensione del porto d’armi e del passaporto, oltre al divieto del permesso di soggiorno.
Inoltre, paradossalmente, il predetto quesito referendario lascia in piedi il reato di coltivazione di cannabis, in quanto prevede soltanto la cancellazione della pena della reclusione da due a sei anni, ma non quella della multa da euro 5.164 a euro 77.468, prevista dal vigente articolo 4 della D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309. In altre parole il referendum in oggetto non legalizza completamente la coltivazione della droga leggera in quanto rimangono sia alcune sanzioni amministrative, che il reato di coltivazione di droga leggera, sanzionato però soltanto con la pena pecuniaria della multa , come scritto in precedenza.
Queste incongruenze, rispetto ad una totale liberalizzazione della cannabis, derivano dal fatto che lo strumento referendario, che può solamente eliminare (“abrogare”) alcune parti delle normative legislative, ma non aggiungerne nuove e diverse, urta contro la razionalità giuridica che esigerebbe una riforma completa ed equilibrata in una materia così incandescente come l’uso delle sostanze stupefacenti.
Del resto l’urgenza della predisposizione di un referendum non serviva in questo caso specifico in quanto, in contemporanea, vi è stata l’approvazione del testo base di riforma della legge sulla cannabis da parte della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati (relatore On. Perantoni ) che legalizza la coltivazione di massimo quattro piante “femmine” per uso personale, e dà la possibilità di sostituire la pena del carcere per gli spacciatori con i lavori socialmente utili.
Con la successiva normativa legislativa, che sicuramente verrà approvata in tempi che mi auguro siano abbastanza brevi, oltre ai benefici citati in precedenza che si otterrebbero dalla liberalizzazione della cannabis (minor numero di carcerati, diminuzione dei reati di spaccio e di quelli contro il patrimonio con conseguente maggiore sicurezza della collettività ), si dovrebbe anche evitare, in gran parte, il passaggio di ricorrere all’utilizzo delle devastanti droghe “pesanti”, valutato che tutte le normative precedenti e le numerose campagne dissuasive in materia (sia pubbliche che private), non hanno portato alla diminuzione quantitativa dell’inquietante fenomeno in generale, ma purtroppo, ad un suo costante aumento nella popolazione italiana, al pari della tendenza all’incremento in quella mondiale .
La liberalizzazione della cannabis condurrà, sostanzialmente, ad una parificazione rispetto a ciò che succede attualmente per le sigarette di tabacco, il cui fumo è completamente libero (tranne il divieto di utilizzarle all’interno dei locali chiusi), anche se sui relativi pacchetti (cosa che sarebbe necessario inserire anche sulle confezioni di cannabis leggera che saranno vendute nei negozi autorizzati, a seguito dell’emanazione della futura nuova normativa di liberalizzazione) è obbligatorio per legge l’avviso, fatto con scritti e immagini, dei gravi rischi alla salute a cui l’uso di tabacco espone i suoi consumatori.
Credo, però, come ho ampiamente motivato nel mio ultimo libro (1) , che una nuova legge di completa liberalizzazione dell’uso della cannabis possa non solo limitare l’utilizzo della droga “pesante”, ma, paradossalmente, essere utile per far diminuire anche l’uso di quella “leggera” fra i giovani.
Invero un utilizzo personale della cannabis “leggera” completamente libero, anche dalle attuali e precitate sanzioni amministrative irrogate dal Prefetto ai sensi dell’art. 75 del DPR n. 309 del 1990, che lo rendono ancora illecito, leverà a molti giovani il senso di provarla per la naturale curiosità del proibito connaturata alla loro giovane età, oppure limitarla ad un unico “assaggio” senza ulteriormente continuare in una assiduità temporale del suo consumo.
Certamente l’eliminazione della proibizione dell’uso della cannabis dovrà esser accompagnato, soprattutto per i più giovani, da un adeguato supporto preventivo e correttivo da parte della famiglia, della scuola e della comunità “educante”.
Ciò eviterà che si possano produrre delle gravi dipendenze da droga “leggera”, pur sempre pericolose per la salute psicofisica del suo utente , o quelle ancor più gravi del passaggio agli stupefacenti “pesanti”, fenomeno che tradizionalmente è stato ed ancora è il cavallo di battaglia degli oppositori alle liberalizzazione della cannabis.
Invero le diverse problematiche dei consumatori di droga (e alle volte spacciatori) devono essere affrontate dalle tre predette istituzioni attraverso una seria attività di responsabilizzazione educativa alla loro salute, con la formazione di regole concordate tendenti a realizzare dei sani stili di vita, che devono coinvolgerli direttamente circa i problemi non solo del consumo della droga, ma anche del tabagismo e dell’uso smodato di alcol e farmaci spesso inutili.
Per quanto concerne i più giovani, la loro fluidità psicologica deve determinare, come risposta educativa, un modello pedagogico non rigido, ma flessibile, che deve seguire con attenzione il fluire delle loro situazioni di fragilità, instabilità ed imprevedibilità, che deve essere realizzata, in prima battuta, nell’ambito della famiglia.
Indi anche la scuola, in un rinnovato progetto di patto educativo in accordo con la famiglia, dovrà svolgere adeguatamente una funzione preventiva e dissuasiva nel campo dell’uso degli stupefacenti.
Di più la comunicazione attraverso i social dovrà impegnarsi più attivamente, con un numero di siti sempre maggiore e campagne pubblicitarie dedicate (sia pubbliche che private), a contrastare l’inquietante irrompere della rete oscura (il “dark web”) con le sue offerte di vendite vantaggiose economicamente di terribili “cannabinoidi” chimici e di droghe “pesanti” tradizionali, come la cocaina e l’eroina.
(1) Roberto Thomas “Criminologia minorile – Un approccio sostenibile” Giuffrè Francis Lefebvre, 2020, pagg.286-317.

https://www.poliziapenitenziaria.it/il-referendum-sulla-depenalizzazione-della-coltivazione-della-droga-leggera/

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